La mafia pugliese, tra scheletri di una faida, droga e videopoker

imagesCi sono notizie che spariscono: che hai sentito al giornale radio, un po’ distrattamente mentre guidi tra casa e lavoro; o che si è letto navigando in internet sui siti dei giornali online; o visto passare velocemente nel mezzo di un telegiornale; e che poi non riesci più a rintracciare. E’ la maledizione dell’informazione effimera, di cui se si vuole si riesce a far perdere ogni traccia.Eppure che in Puglia, forse sul Gargano, sia stato trovato quello che nel notiziario veniva definito “un probabile cimitero della mafia pugliese”, è una notizia colta al volo ieri, in uno dei telegiornali tra l’una e le due del pomeriggio, ma scomparsa del tutto dal sistema mediatico. E il cronista, allenato a cogliere anche piccoli indizi e fonti secondarie, sa di non aver avuto le traveggole, si ricorda anche le immagini: di una ruspa che scavava e portava su da una fossa comune dei resti umani, o che sembravano tali.E invece niente. Gira e rigira in tutti i siti, cerca e ricerca sui blog dei tiggì, vai a sfogliare i giornali locali: niente; la notizia è sparita.
Peccato, perché sarebbe stata un’ottimo incipit per parlare di una delle organizzazioni criminali meno note e ritenute, con un grave errore di sottovalutazione, secondarie se non marginali. Ma se si vanno a scorrere le pagine ad esempio della Gazzetta del Mezzogiorno – che ieri parlava degli “avvistamenti” dei “nuovi zar russi” a bordo dei loro yacht che attraccano sulle coste pugliesi e nei porticcioli turistici, o che rimangono ben distanti alla fonda al largo della penisola salentina, o del golfo di Gallipoli, o nei dintorni di Taranto – si capisce che la Puglia è uno dei crocevia delle “nuove mafie”: uno dei territori “caldi” sulle rotte criminali, non fosse che per il suo “affaccio” sul Canale d’Otranto e per il breve braccio di mare che la separa dalle coste dalmate e illiriche e albanesi, su cui premono tutte le spinte e le tensioni dell’Esteuropa.
E si capisce immediatamente la ragione per cui la Sacra Corona Unita è una delle organizzazioni criminali oggetto di un apposito capitolo dell’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia, assieme ad un altro capitolo, per le significative connessioni con essa, che ha acceso i riflettori su quelle che vengono definite “mafie allogene”, ovvero le mafie straniere presenti in Italia o che con quelle endogene intrattengono rilevanti affari criminali e traffici illeciti transnazionali.
Per l’esattezza la Dia tiene assieme – nel documento inviato al Ministero dell’Interno, relativo al secondo semestre 2008 – la mafia pugliese e quella lucana, chiamata “I Basilischi”, benché i due fenomeni abbiano storie,insediamenti e capacità pervasive del tutto dissimili.
Scrive la Dia: «Nel semestre in esame non si ravvisano particolari mutamenti strutturali del fenomeno criminale organizzato pugliese, che continua ad essere connotato dai noti profili di fluidità e poliedricità. Tali caratteristiche qualificano l’intero scenario criminale associativo come manifestazione delinquenziale sostanzialmente disomogenea, anche in ragione della persistente pluralità di consorterie attive, molto diversificate nell’intrinseca caratura criminale e non correlate da architetture organizzative unificanti. I reati in materia di sostanze stupefacenti continuano a rappresentare le fattispecie più diffuse sul territorio, essenzialmente in ragione della soggiacente remuneratività degli illeciti. I costanti riscontri investigativi dimostrano che la regione, stante la sua peculiare posizione geografica, continua a porsi come importante crocevia per i traffici di stupefacenti, che interessano anche altre regioni italiane e che vedono le cointeressenze di realtà criminali di origine straniera, soprattutto albanesi».
E se questa è l’attività preminente, non mancano sul territorio pugliese e nei confronti dell’economia locale «condotte estorsive, esercitate con atti intimidatori e attentati in pregiudizio di imprenditori e commercianti, ed anche la pratica dell’usura; ambedue queste tipologie di reato sono infatti “efficacemente funzionali” ai complessivi progetti mafiosi in ragione dell’intrinseca incisività sul controllo criminale del territorio».
E poi ci sono i reati “classici”, per così dire “minori”: il contrabbando di tabacchi, tecnologie e ogni genere di merce rubata, soprattutto auto ed elettrodomestici, ma anche farmaceutici e griffe clonate; e quello di “carne da macello”, ovvero lavoratori “clandestini” da avviare ai campi pugliesi e campani, e donne e ragazze sia africane che dell’Europa dell’Est da avviare alla prostituzione; e infine i videopoker truccati e ogni genere di macchinette mangiasoldi da consegnare ad altrettante organizzazioni “semilegali” che si occupano di organizzare sul territorio la loro installazione e la raccolta dei proventi del gioco clandestino.
Non sembrano esserci, invece – a differenza della mafia siciliana e calabrese, forse per quel carattere di disunicità e fluidità di cui parla la Dia – quei fenomeni di penetrazione pervasiva e di “conquista” dell’economia legale da un lato, dai servizi alle imprese alla grande distribuzione, e dei grandi affari legati alla politica dall’altro, a partire dagli appalti per le infrastrutture, la sanità, l’acqua, i rifiuti. O almeno non ancora, anche se bisogna essere avvertiti del fatto che alla fine i soldi del narcotraffico prima o dopo dovranno essere riciclati in altre attività. Va detto però che non è indifferente che alla guida della regione Puglia e di due grandi comuni come Bari e Taranto ci siano forze politiche e uomini come Nichi Vendola, Michele Emiliano e Ippazio Stefàno, che hanno storie molto diverse dai loro omologhi siciliani, calabresi ed anche campani.
Vediamo allora l’entità dei reati, in una regione meno scossa, se così si può dire, da grandi episodi cruenti che invece colpiscono in quantità e virulenza la adiacente regione calabra. I dati forniti dalla Dia per il 2008 parlano di un inarrestabile aumento dei cosiddetti “reati spia” dietro cui si nascondo le estorsioni: 19.514 danneggiamenti nel 2008, sui 18 mila circa del 2007, 16 mila nel 2006, poco più di 15 mila nel 2005, 14 mila nel 2004. Stesso andamento in costante crescita anche per gli incendi dolosi che nel 2008 sono stati 1.435 contro 1.380 nel 2007, 1.200 nel 2006, poco più di mille nel 2005, 1.180 nel 2004.
E a fronte di tutti questi danneggiamenti, danneggiamenti a seguito di incendio, incendi dolosi, considerati appunto reati-spia, i fatti-reati di estorsione, accertati a seguito di denunce da parte delle vittime, sono stati invece limitatissimi, addirittura in diminuzione nel 2008, con 575 denunce, contro le oltre 700 del 2007, 630 nel 2006, 680 nel 2005, 690 nel 2004. Anche le denunce per riciclaggio e per usura sono in diminuzione: “solo” 109 fatti-reati di riciclaggio nel 2008 contro oltre 140 nel 2007, 118 nel 2006, 90 nel 2005, 105 nel 2004. Idem per l’usura: solo 33 denunce nel 2008, contro 50 nel 2007, 66 nel 2006, 68 nel 2005, 52 nel 2004.
Comunque, per gli investigatori, «l’incidenza primaria di questa tipica matrice criminale riguarda i reati in materia di stupefacenti. Non stupisce che il controllo delle “piazze di spaccio” possa costituire il fattore chiave dell’instabilità degli equilibri mafiosi esistenti», che si contendono soprattutto il rifornimento di droga dei locali notturni e delle discoteche.
Non stupisce, allora, che un particolare tipo di narrativa “noir” che esce dalla penna di uno scrittore-magistrato-senatore come Gianrico Carofiglio, come ne Il passato è un terra straniera , grondi di quegli umori malati.

Gemma Contin

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