Tratto da “Venerati maestri”, di Edmondo Berselli (Mondadori)

FERRARA SARÀ PURE COME AURELIANO BUENDÍA, CHE, RACCONTA GARCÍA MÁRQUEZ, PROMOSSE 34 SOLLEVAZIONI ARMATE, PERDENDOLE TUTTE, MA HA INVENTATO «IL FOGLIO», LA PIÙ IMPORTANTE E FASTIDIOSA INIZIATIVA CULTURALE ITALIANA DEGLI ULTIMI DUE SECOLI

Ma il punto fondamentale è che Giuliano Ferrara, sempre lui, scuote l’Italia. Lasciamo perdere tutta la prima parte della sua carriera televisiva, quando nella sigla di un cavolo di programma, truccato da gatto, gli occhi bistrati, rovista nei bidoni della spazzatura e ne salta fuori tutto allegro con una lisca di pesce in bocca; oppure canta l’aria di Leporello nel Don Giovanni di Mozart, «Voglio fare il gentiluomo, e non voglio più servir.».

E buttiamo alle spalle anche tutta la questione socialista, quando il suo moto d’amore per Bettino, a un congresso a Milano, lo portò a fare un numero «alla Italo Balbo», come disse di sé; mentre Giampaolo Pansa lo battezzò «Cicciopotamo, socialista islamico», un fondamentalista del craxismo quasi più di don Gianni Baget Bozzo, socialista teologico.

E buttiamo via anche i sette mesi del primo, sconclusionato, governo Berlusconi, quando lui, ministro dei Rapporti con il Parlamento, si aggirava per Roma con un improbabile completo bianco, inadatto perché, come gli avrebbe detto Guia Soncini, il colore è di quelli che allargano, compreso un indefinibile panama, o comunque un cappello a tesa larga da freak, forse per mascherare con l’immagine pubblica da mostro lo stress che lo divorava, e che gli costò alla fine un arresto cardiaco, prova provata che governare diverte ma stanca.

E lasciamo anche perdere la direzione di «Panorama» e la successiva battaglia impossibile perduta senza batter ciglio contro Antonio Di Pietro al Mugello. E qui un lettore scettico e vagamente irritato potrebbe ragionevolmente obiettare: caro professor Sartori, cari tutti voi i miei intellettuali dei miei stivali, come diceva fra l’altro Bettino: ma, in sostanza, praticamente tutta la vita di Giulianone è da buttare.

Sembra la storia di Aureliano Buendía, che, come racconta García Márquez, promosse trentaquattro sollevazioni armate, perdendole tutte. Da bambino, infanzia moscovita, è un piccolo e grassoccio pioniere rivoluzionario che si butta sul divano in salotto cantando l’inno sovietico o urlando «budet revolucija!», da ragazzino sembrerebbe un mezzo frocio, se non si è capito male dai vostri eufemismi del cacchio, da giovane un comunistaccio, da adulto un socialistone, nella mezza età un estremista di destra, che crede solo nel mercato, nell’individualismo, nella concorrenza, nel diritto romano, nei cardinali, nelle encicliche del papa e nei diritti dell’embrione.

No, caro amico, rispondiamo agevolmente noi. Tutto quello che lei dice è vero, e rientra senza problemi nel Paradigma delle troppe madonne. Anche Giulianissimo è uno che non se ne perde una, di madonne. Però c’è un però. L’Elefante ha inventato, fondato, creato e diretto un quotidiano, «Il Foglio», che rappresenta la più importante e fastidiosa iniziativa culturale che si sia vista in Italia a cavallo, come dicono gli storici e gli ippici, degli ultimi due secoli.

Giuliano Ferrara ha ben presente la situazione. E quando mette su «Il Foglio» sa benissimo che sul piano culturale la destra italiana è un arcipelago curioso, per dirla in termini eleganti; un mezzo casino, per dire la banale verità. Una banda di stronzi neanche molto soliti, secondo i più realisti, dato che tutti solitamente li evitano. con un mercato, è quello liberale, l’Elefantino ci si butta. (.) È un giornale-club, o un giornale-partito, dicono tutti quando parlano del «Foglio».

È un clan di rovesciafrittatisti, dice Sartorius. Un comitato che progetta un cavallo al giorno tirandone fuori bellissimi cammelli e splendide giraffe, e ci sono dentro o ci sono passati futuristi, dannunziani, tradizionalisti, fascisti, comunisti, evoliani, una proporzione tremendamente alta di radicali e rosapugnoni, poi liberali di ogni foggia, all’americana e all’europea, quindi americanisti, antislamici, animalisti, ex fiancheggiatori del terrorismo di sinistra espulsi perché preferivano il poker alla riunione strategica, e ultimamente una folla di neoconservatori guerrafondai e una quantità di new born christians, che proprio come il loro dio Elefante adorano Ratzinger, il Sant’Uffizio, la Porta di bronzo, e cercano di rivalutare criticamente e speciosamente qualsiasi eredità cattolica o anche ogni misfatto clericale dall’Inquisizione in qua, fino ai nostri giorni.

Con questa pattuglia di gente tecnicamente squinternata, Giulianone l’Elefantino ha creato un suo partito, di idolatri, di adoratori, di feticisti, di «tennici», come diceva Benni, che la domenica, quando «Il Foglio» non esce, soffrono gravi crisi di astinenza e vanno nei pochi bar aperti ad attaccare un bottone su Emma Bonino o sulla pillola abortiva e l’embrione.

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Una Risposta to “Tratto da “Venerati maestri”, di Edmondo Berselli (Mondadori)”

  1. Pirellone amaro - Pagina 40 Says:

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