La picconata di Wojtyla al Muro

3 dicembre 1989. Profezia e politica, cristianesimo e diritti umani, fede e sindacato: lungo questi cammini spesso accidentati e imprevisti, di certo inediti nella storia della Chiesa, svolse la sua azione il polacco Karol Wojtyla, salito al Soglio di Pietro col nome di Giovanni Paolo II, nel corso degli anni 80.

L’obiettivo era quello di far crollare il Muro di Berlino, liberare la Polonia, aprire la strada all’Europa delle nazioni, unite dalle comuni radici cristiane.

Giovanni Paolo II, a partire dal 1978, porta una visione completamente nuova al vertice della Chiesa: quella di un Papa venuto dall’Est del continente. I suoi tre viaggi in Polonia negli anni che precedettero la caduta del comunismo, l’azione diplomatica a 360 gradi, il senso di una prospettiva spirituale e trascendente che guidava i suoi passi e il cammino dei popoli, fanno di Wojtyla un protagonista inevitabile di quei fatti dell’89 che hanno cambiato il corso della storia recente.

Ma proprio in ragione dei suoi molteplici ruoli – capo spirituale, interprete attento dei fatti politici, uomo di fede profonda – il giudizio sul suo operato, e in realtà sul peso che la sua azione esercitò nel decennio precedente la caduta del Muro di Berlino, è ancora oggetto di dibattito. Le opinioni in proposito si accavallano: Giovanni Paolo II preparò la caduta del Muro già dal suo primo viaggio in Polonia nel 1979; nessuno in Vaticano credeva che gli eventi si sarebbero succeduti in modo così rapido e sconvolgente, nemmeno il Pontefice; no, il Papa sapeva che tutto era giunto alla fine e anzi lo previde. Fra gli stessi testimoni del tempo si susseguono, a vent’anni di distanza, ragionamenti e giudizi differenti, anche se a sommarli insieme invece che di ricordi contraddittori, si ha piuttosto la sensazione di un mosaico composto da diversi stati d’animo e prospettive, tutti presenti nella stessa fase storica.

Il primo dicembre del 1989, Michail Gorbaciov compie la sua storica visita in Vaticano; e il fatto costituisce naturalmente un evento impensabile solo pochi anni prima. Fra il leader sovietico e il Papa si stabilisce un’intesa anche personale, fatta di cordialità e reciproca stima e simpatia; di questi sentimenti lo stesso Gorbaciov parlerà ripetutamente negli anni successivi. E tuttavia dietro quell’incontro c’è la storia lunga delle persecuzioni della Chiesa ad oriente, delle difficoltà diplomatiche, della battaglia di Solidarnosc in Polonia, e il timore che tutto, in qualche modo, possa precipitare; anche se la speranza cresce e i segnali dei progressivi cedimenti interni dei regimi vengono registrati in Vaticano.

Nel corso del suo primo viaggio in Polonia, nel 1979, il Papa, a Gniezo pronunciò una frase rimasta celebre: «Non vuole forse, Cristo, non vuole lo Spirito Santo, che questo Papa polacco, Papa slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa?». Secondo il suo segretario, il cardinale Stanislaw Dziwisz, da lì cominciò l’accelerazione degli eventi: «Il discorso di Gniezo segnò l’inizio della caduta della cortina di ferro che allora divideva l’Europa. Il crollo del Muro è cominciato lì, non a Berlino». Ma l’attuale arcivescovo di Cracovia ha spiegato di recente anche un altro aspetto importante della vicenda. Il Papa e i suoi collaboratori premevano con forza sulla Polonia, aiutavano Solidarnosc, e non temevano più di tanto una reazione militare sovietica: «Nessuno la prendeva seriamente in considerazione, dato che i sovietici erano già impegnati in Afghanistan». «Sapevamo che l’Urss – ha raccontato l’ex segretario di Wojtyla – non se lo poteva permettere. Su questo avevamo notizie precise direttamente dalla Casa Bianca, le abbiamo ricevute da Zbignew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale, e dallo stesso presidente Reagan il quale chiamò personalmente il Papa».

Eccolo, dunque un altro aspetto della storia: il rapporto fra Ronald Reagan e Giovanni Paolo II. E anche su questo legame s’intrecciano le interpretazioni: un’alleanza strutturata e ben definita o piuttosto una forte convergenza di interessi comuni. Sia come sia, caduto il Muro, dissolta la cortina di ferro, Giovanni Paolo II dividerà i suoi destini da quelli della superpotenza americana.

Il cardinale Joachim Meisner, oggi arcivescovo di Colonia, nel 1980 fu nominato da Wojtyla arcivescovo di Berlino, una diocesi che comprendeva anche la parte occidentale della città. Ancora, nel 1988, Giovanni Paolo II lo chiama, lui tedesco orientale, a governare la diocesi di Colonia nella Germania Ovest. «Né io – ha osservato di recente Meisner – né nessun altro, politici tedeschi compresi, avrebbe potuto immaginare a breve il crollo del sistema comunista, ma lui, con quella scelta ha lanciato coscientemente un segnale: “signori attenzione perché sta per succedere qualcosa”».

Sul periodo immediatamente precedente il crollo del Muro, il cardinale Achille Silvestrini, ha invece il ricordo di un evento che, nei sacri palazzi, coglie tutti alla sprovvista, compreso il Pontefice. «Non ci aspettavamo che sarebbe accaduto così in fretta – ha detto – non c’era alcuna previsione, anche da parte di Papa Giovanni Paolo II. Si aveva l’impressione che quel sistema sarebbe potuto durare per un tempo non prevedibile. E la stessa cosa ci dicevano anche i vescovi dei Paesi dell’Est, a cominciare ad esempio dal cardinale polacco Wyszynski». Insomma nonostante i «contatti costanti che avevamo con i governi, soprattutto in quei Paesi dove c’erano trattative per le nomine vescovili», la caduta del Muro arrivò all’improvviso.

Nelle sue memorie di diplomatico al servizio della Santa Sede, il cardinale Agostino Casaroli, ha lasciato una riflessione articolata di quel frangente storico, un primo abbozzo di analisi: «L’elezione di Giovanni Paolo II – ha scritto – avvenne in un momento particolare dell’evoluzione della situazione nel blocco sovietico, e in Polonia in particolare». «Sordi scricchiolii percettibili già da vari anni e che erano andati a mano a mano aumentando – ha spiegato Casaroli – lasciavano presagire l’avvicinarsi di crisi di compattezza e di stabilità nell’edificio grandioso del blocco sovietico». E se il fenomeno interessava in misura diversa più o meno tutti i Paesi dell’area comunista, «esso era particolarmente avvertibile in Polonia». A sua volta, Viktor Zaslavsky, docente di Sociologia politica presso la Luiss, esperto e studioso della realtà sovietica recentemente scomparso, rievocando il passaggio fatidico dell’89 sull’Osservatore romano, ha rilevato a proposito di Giovanni Paolo II: «Entro i confini della Polonia, che era uno dei Paesi chiave del Patto di Varsavia, Giovanni Paolo II ha avuto un ruolo straordinario». «La sua elezione a Papa – ha aggiunto Zaslavsky – ha prodotto una esplosione di entusiasmo, di patriottismo e di orgoglio nazionale che per un certo periodo ha cancellato tutta la paura accumulata nei decenni precedenti di dominio assoluto del partito unico e del suo apparato repressivo». Dunque «la Chiesa cattolica in Polonia ha rappresentato, senza dubbio, la base attorno a cui si è coagulata tutta l’opposizione al regime». Al contrario non è riscontrabile «niente di simile, invece, in Unione Sovietica dove la Chiesa ortodossa è stata sempre, non solo schiacciata, ma completamente soggiogata dallo Stato-partito. In Polonia non è stato così, per cui il ruolo del Papa è stato grandioso».

Francesco Peloso

Il Riformista

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