La casa dell’arte è a Nuoro

Cristiana Collu

Paolo Fallai per “Il Corriere della Sera

L’arte non va d’accordo coi numeri, ma in questo caso fanno risparmiare un sacco di chiacchiere: Nuoro conta 35.000 abitanti. Il suo Museo d’arte registra 50.000 visitatori l’anno. I paragoni sono ingenerosi e semplicistici, ma insomma sarebbe come se il Macro di Roma riuscisse a staccare più di tre milioni di biglietti. E ora possiamo cercare di capire perché.

Ed è difficile comprendere qualcosa di Nuoro, o della donna che siamo venuti a incontrare, senza passare da piazza Sebastiano Satta. Si cammina sul granito del monte Ortobene, la montagna che domina e protegge la città, e che ancora cova i suoi segreti primitivi. Costantino Nivola, l’architetto che nel 1967 progettò questo spazio, volle disseminarla di grandi massi di questo monte, «abitati» da piccole e preziose statuette in bronzo: l’uomo e la roccia da queste parti hanno durezze molto simili. Tutto intorno, la casa del poeta, la scuola, un edificio di un rosa incongruo e un cantiere: qui, in due corpi separati, stanno lavorando alle nuove sale del Museo d’arte della provincia di Nuoro, che in soli tredici anni di vita è diventato il «Man», un piccolo gioiello che dal cuore della Sardegna, anzi della Barbagia, si è conquistato ammirazione e stima in Italia e soprattutto all’estero.

Questo successo ha un nome e una storia: Cristiana Collu, che nel 1997, a soli 27 anni, vinse la selezione come direttrice di un museo che non c’era. E che sta per lasciarlo: pochi giorni fa è stata nominata alla direzione del Mart di Rovereto, uno dei più importanti musei di arte contemporanea in Italia.

Difficile capire qualcosa di Cristiana Collu se non si comincia dall’inizio, l’infanzia a Decimo, un piccolo paese a pochi chilometri da Cagliari, una laurea da medievista con tesi sulle «Nuove “pietre fitte” cristiane della Sardegna centro-orientale» e subito dopo quello che fanno molti dei nostri ragazzi: spedisce «cento lettere proponendosi a cento musei in tutto il mondo» e si precipita all’estero per arricchire la sua formazione. Due le tappe fondamentali: Madrid, dove si appassiona alla museologia, e Sydney dove si ferma a lungo presso l’Mca – Museum of contemporary art. Tra il 1996 e il 1997 è a Roma, dove alterna i corsi in arte medievale a Roma III e nuovi approfondimenti negli archivi vaticani. «Abitavo a Torre Argentina, dalle Benedettine. Nello stesso palazzo dove ha sede il Partito radicale».

Ed è proprio nel 1997 che cambia la sua vita. È il padre Luigi, un imprenditore che vive tra la Sardegna e il Marocco, a leggere il trafiletto su un giornale sardo: «Si bandisce un concorso per il posto di direttore della istituenda Pinacoteca provinciale di Nuoro». Non dice niente alla figlia,mette in una busta il curriculum e spedisce. Quando Cristiana Collu lo viene a sapere si arrabbia, come fanno tutti i figli quando i genitori si occupano «troppo» della loro vita. La reazione del padre è un piccolo modello per noi genitori eterni «apprendisti»: «Primo— le disse Luigi—l’ho spedita per posta e chissà se mai arriva. Secondo: a 27 anni cosa c’è di meglio di diventare direttore di qualcosa che non c’è?». Un uomo saggio. Convocata per il colloquio Cristiana si presenta, convince e vince il posto «del tutto inaspettatamente». «La vita è fatta così — commenta — o non ti dà opportunità o te le fornisce tutte insieme. In qualche modo ti costringe a scegliere». Questo l’esordio: «L’incarico durava un anno. Mi accompagnarono in un edificio, appena ristrutturato, dicendomi che avrei dovuto sistemare lì una collezione di pittori sardi, da selezionare tra i quadri raccolti nei decenni dal Comune e dalla Provincia di Nuoro, da altri enti e dal Banco di Sardegna». Tutto facile? Per niente. «L’edificio non era a norma e per diventare un luogo espositivo aveva bisogno di interventi energici, a cominciare dalla sicurezza e dalle luci». Ci sono momenti, nella gioventù, in cui bisogna mettere a frutto l’inesperienza, trasformarla in un valore: «Ti proteggi — spiega — con la determinazione». Con le indicazioni della giovane direttrice il Museo prende forma ma è lontano dall’apertura. Scade invece il contratto, il 16 dicembre 1998 e Cristiana Collu parte per l’America Latina. La richiamano il 5 gennaio, un po’ preoccupati. «Va bene, torno —è la risposta — ma solo se inauguriamo tra un mese». E in effetti il 5 febbraio 1999 apre qualcosa a Nuoro: ma non quello che tutti si aspettavano. Sei mesi prima, Cristiana Collu era andata da Eduardo Chillida, convincendo lo scultore basco a diventare il primo artista a esporre in un museo che non c’era. Insieme alle opere di Chillida, la ragazza—che non firma neanche la cura di quella mostra — espone la prima collezione di cento opere di arte sarda, che attraversano tutto il Novecento, e una antologica del nuorese Gino Frogheri. Ma non era una pinacoteca: era nato il Man, il Museo dell’arte di Nuoro.

Ed è da quel giorno che tra la città e il suo museo comincia un rapporto d’amore. Tempestoso e intenso, come si conviene quando il sentimento è sincero. Gli sciocchi sorridono quando Nuoro viene chiamata la «Atene» della Sardegna. Ma è un fatto che questa terra ha offerto i maggiori scrittori, da Grazia Deledda, a Salvatore Satta fino all’oggi di Marcello Fois e Michela Murgia. «Io non so come definirlo — spiega Cristiana — ma questo luogo ha un qualcosa che lo rende unico e, posso dirlo, contavo sul senso di appartenenza che sarebbe nato tra i nuoresi e il “loro” museo».

La prova arriva nel 2001. Cristiana Collu produce la mostra «Pay Attention Please»: ventotto artisti invitati per un’esposizione «site specific » come si dice, insomma pensata apposta per i tre piani del museo nuorese. La prima conseguenza è che la collezione permanente di pittura sarda finisce temporaneamente in magazzino. La seconda è la sollevazione: «Che fine hanno fatto i nostri padri?». La direttrice non risponde, la mostra ha successo e soprattutto— in silenzio—a fine esposizione la collezione torna al suo posto. E tutti capiscono, senza tante filosofie, cosa può diventare il Man: un luogo vivo, altro che Pinacoteca.

Cosa succede dal 2001 lo spiega con grande efficacia il filosofo Alessandro Aresu in un articolo scritto per «Abitare» nel 2008: «Cristiana a suo modo è stata folle. Ha capito che leggendo la a della sigla Man i sardi pensavano all’ennesimo museo archeologico e ne ha tratto l’unica conseguenza plausibile: ha deciso di bombardare Nuoro». Arrivano decine di mostre, spesso con collaborazioni internazionali: nel 2001 Mirò «Orizzonte lirico», con la Fondazione di Palma di Majorca. E poi De Chirico, Fontana, Morandi, Picasso, Munari, Schiele. «Gli stessi sardi per una volta non vengono proposti in forma caricaturale — è ancora Aresu a parlare — ma per la loro capacità di essere contemporanei, da Maria Lai a Giovanni Pintori, il grande designer nuorese dell’Olivetti». Nel 2004 della mostra «Catastrofi minime» parla tutta Italia, ilmuseo è già un caso e arriva il primo riconoscimento col premio Abo come miglior giovane direttore di museo in Italia e la chiamata come curatrice del premio Terna. Due anni dopo, nel 2006 sarà lo stesso ministero a premiare il Man come «luogo di eccellenza nel panorama museale italiano». E le mostre continuano: tra 2006 e 2007 «Confini– Boundaries», sulle regioni transfrontaliere dell’Unione Europea. Nel 2008 Chagall, Klimt e la collezione del Frac della Corsica esposta per la prima volta.

«Non è vero che se alzi il telefono e chiami, dicono sempre di no», confessa Cristiana Collu, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Certo conta l’entusiasmo e non spaventarsi. Mentre sta organizzando la mostra su Man Ray, il presidente della fondazione newyorkese le dice al telefono: «Non so se verrò all’inaugurazione, in Sardegna ci sono i banditi». È successo nel 2008, solo tre anni fa. Conta la rapidità: come quando riesce a portare a Nuoro la collezione del Novecento della Quadriennale dalla Gnam di Roma. E la libertà di azione: «Non ho mai avuto ingerenze e sempre molta fiducia dai miei amministratori».

Non nasconde l’importanza di essere donna nel suo lavoro, ma Cristiana Collu la declina quasi con un’autocritica: «Vengo dalla cultura della uguaglianza, più che da quella della “differenza”. Ma ho imparato che la differenza esiste, eccome, e sta nel nostro farci carico, nell’attitudine costruttiva, inclusiva. È uno sguardo orizzontale, mai obliquo».

Così, quando deve raccontare il passaggio dal Man al Mart usa una formulamolto femminile: «Mia figlia Sofia ha cominciato la prima elementare a Nuoro in una scuola dove potevo accompagnarla e riprenderla senza problemi, a due passi dal museo. La finirà a Rovereto, in una scuola a due passi dal museo». E forse sta in questa impostazione, decisa e serena, il motivo del gran rifiuto opposto nei mesi scorsi al Macro di Roma, che la voleva per sostituire Massimo Barbero: eppure nella Capitale ha insegnato storia dell’arte contemporanea alla Sapienza. «Roma — si limita a dire Cristiana Collu — è davvero troppo grande per una bambina ». Rovereto ha quasi gli stessi abitanti di Nuoro, la stesso mix di tradizione e genius loci, ma un museo strutturato e di ben altre dimensioni. «Noi siamo l’Italia delle differenze — dice Cristiana Collu e sembra parlare di tutte le Nuoro e le Rovereto del Paese — Anche questo è “made in Italy”. Importare modelli non serve. I nostri musei devono essere luoghi aperti, in continua comunicazione con le città. Devono conoscersi e riconoscersi. È la nostra storia che ci obbliga a valorizzare queste differenze».

In Sardegna lascia molti orfani e una quantità di progetti: non riesce neanche a soffermarsi sulla bella mostra di fotografie di Henri Cartier- Bresson, in corso nei tre piani del museo, che si precipita fuori, nella stretta via Satta che guarda il Man e in qualche modo ci si specchia dentro. «Qua di fronte — dice indicando una palazzina — verranno gli uffici». E in piazza Satta, a pochi metri, mostra con orgoglio i due cantieri dell’ampliamento che porteranno il Man dai 700 metri quadrati di oggi a 2.000. «Così potremo tenere “sempre” la collezione permanente e avere spazio per le mostre». Lei dice «potremo», ma piuttosto «potranno» i suoi successori. «Spero di mantenere un contatto, nei modi che decideranno. Intanto stiamo superando questa crisi di fondi, il museo non potrà contare solo sulla Provincia e sulla fondazione Banco di Sardegna, ma anche sul sostegno della Regione. Il nuovo Man aprirà presto».

Quando una donna unisce passione e talento c’è davvero poco che possa fermarla. Certo non le mediazioni, più o meno confessabili, di un ambiente maschile. O gli attacchi personali. Il suo successo è punteggiato da una quantità di calunnie, perfino sul suo normalissimo stipendio. È facile fare previsioni con una personalità come Cristiana Collu: continuerà a fare il suo lavoro con caparbietà e fiducia nel proprio istinto. Anche in una istituzione complessa come il Mart di Rovereto. Gli invidiosi si arrendano. D’altronde, Cristiana Collu ama citare Luisa Muraro: «Essere donna non è da tutti».

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