Lotta alla pedofilia, ecco i documenti

L’Osservatore Romano pubblica oggi la traduzione in italiano della lettera ‘Ad exsequendam ecclesiasticam legem’ del 18 maggio 2001, indirizzata a tutta la gerarchia cattolica dalla Congregazione per la Dottrina della Fede

GIACOMO GALEAZZI
Con la lettera Ad exsequendam ecclesiasticam legem del 18 maggio 2001 a tutta la gerarchia cattolica, la Congregazione per la Dottrina della Fede dava notizia delle norme sui delitti più gravi (“delicta graviora”) riservati alla medesima congregazione. Del testo latino della lettera, pubblicato in “Acta Apostolicae Sedis” (93, 2001, pp. 785-788), diamo la traduzione italiana tratta dall'”Enchiridion Vaticanum”. Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’articolo 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice:  “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio” (1), era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede:  questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica (2).
Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962 (3), doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici. Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al Sommo Pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal Sommo Pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica data in forma di motu proprio  Sacramentorum  sanctitatis tutela. I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono: 
– I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè: 
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate (4); 2° l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima (5); 3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale (6); 4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica (7); – Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè: 
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo (8);
2° la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso (9); 3° la violazione diretta del sigillo sacramentale (10); – Il delitto contro la morale, cioè:  il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età. Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione. Ogni volta che l’ordinario o il gerarca avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolto un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al gerarca, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione. Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni (11). La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune (12); ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età. Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i gerarchi, possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.
Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio. Con la presente lettera, inviata per mandato del Sommo Pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e gerarchi interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei gerarchi ci sia una sollecita cura pastorale.Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.Joseph card. Ratzinger
prefetto Tarcisio Bertone, sdb arcivescovo emerito di Vercelli, segretario.
Con la lettera apostolica in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela  del 30 aprile 2001 Giovanni Paolo II promulgava le norme sui delitti più gravi riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Del testo latino del motu proprio, pubblicato in “Acta Apostolicae Sedis” (93, 2001, pp. 737-739), diamo la traduzione italiana tratta dall'”Enchiridion Vaticanum”. La tutela della santità dei sacramenti, soprattutto della santissima eucaristia e della penitenza, come pure la preservazione dei fedeli chiamati a essere partecipi del regno del Signore nell’osservanza del sesto comandamento del Decalogo, richiedono che, per procurare la salvezza delle anime, “che deve sempre essere nella Chiesa legge suprema” (Codice di diritto canonico, can. 1752), la Chiesa stessa intervenga con la propria sollecitudine pastorale al fine di prevenire i pericoli di violazione.
Già in passato dai miei predecessori fu provveduto con opportune costituzioni apostoliche alla santità dei sacramenti, in particolare della penitenza, come con la costituzione di Papa Benedetto xiv Sacramentum poenitentiae del 1° giugno 1741 (1); anche i canoni del Codice di diritto canonico promulgato nel 1917, assieme alle loro fonti, con i quali erano state stabilite sanzioni canoniche contro i delitti di questa specie, erano orientati al medesimo scopo (2). In tempi più recenti, per premunirsi  da  questi delitti e altri affini, la Suprema Sacra Congregazione del Sant’Offizio, con l’istruzione Crimen sollicitationis, diretta il 16 marzo 1962 a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e agli altri ordinari dei luoghi “anche di rito orientale”, stabilì il procedimento da seguire in queste cause, poiché la competenza giudiziaria in esse, sia per via amministrativa sia per via processuale, era affidata esclusivamente ad essa. Si deve rammentare che tale istruzione aveva forza di legge, dal momento che il Sommo Pontefice, a norma del can. 247 I del Codice di diritto canonico promulgato nel 1917, presiedeva la Congregazione del Sant’Offizio e l’istruzione procedeva dalla sua personale autorità, poiché il cardinale in carica in quel momento fungeva solo da segretario. Il Sommo Pontefice Paolo vi di felice memoria confermò la competenza giudiziaria e amministrativa nel modo di procedere “secondo le norme proprie emendate e approvate” con la costituzione apostolica sulla curia romana Regimini Ecclesiae universae del 15 agosto 1967 (3). Infine, con l’autorità che mi è propria, nella costituzione apostolica Pastor bonus, promulgata il 28 giugno 1988, ho espressamente stabilito:  “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio” (4), ulteriormente confermando e precisando la competenza giudiziaria della medesima Congregazione per la dottrina della fede come Tribunale apostolico. Dopo l’approvazione da parte mia del Regolamento per l’esame delle dottrine (5), era però necessario definire più dettagliatamente sia “i delitti più gravi commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti”, per i quali la competenza rimane esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede, sia anche le norme processuali speciali “per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche”. Con questa mia lettera apostolica data in forma di motu proprio ho completato tale lavoro e perciò con essa promulgo le Norme circa i delitti più gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, distinte in due parti:  la prima contiene le Norme sostanziali, e la seconda le Norme processuali. Ordino a tutti gli interessati di osservarle fedelmente e con cura. Tali norme assumono valore di legge nel giorno stesso in cui sono promulgate.
Nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione. Roma, presso San Pietro, 30 aprile, memoria di san Pio V Papa, nell’anno 2001, XXIII del mio pontificato. GIOVANNI PAOLO PP. II

La Stampa

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